August Sander è un fotografo tedesco morto quasi novantenne nel 1964. Sebbene nella sua vita abbia praticato anche altri generi (paesaggio, architettura) è conosciuto soprattutto per i ritratti, principalmente per quelli realizzati in Germania nella prima metà del Novecento. I ritratti di cui parlerò, alcuni pubblicati per la prima volta nel 1928 nel libro Il volto del tempo, costituiscono una piccola parte di quello che avrebbe dovuto diventare un lavoro di respiro molto più ampio .

Ho deciso di parlare adesso di August Sander perché, facendo ordine nella libreria, mi è capitato tra le mani Il volto del tempo. Non ho potuto fare a meno di riguardarne le fotografie, notando – ancora una volta – un caso al limite dell’enigmatico (Elio Grazioli).
Se avete già sentito parlare di Sander o se cercherete notizie su di lui troverete principalmente informazioni che riguardano il lavoro di ritrattistica e vedrete che la maggior parte delle fonti elogiano il suo operato, ma – fuori dal coro – non mancano voci critiche.
Ma queste reazioni opposte da cosa sono generate?
Per capirlo vediamo l’opera del fotografo più nel dettaglio.
Un progetto estremamente ambizioso
Sander, trasferitosi a Colonia nel 1910 dove aveva aperto il nuovo studio fotografico, intraprese un progetto che sarebbe dovuto diventare un grande catalogo sociale della popolazione tedesca del tempo. Un catalogo dove i ritratti delle singole persone dovevano rappresentare non tanto individui particolari, ma classi, gruppi, categorie. Vi troviamo i contadini, il proprietario terriero, i piccoli borghesi, la madre proletaria, la famiglia operaia, il pasticcere, il fabbro, il dirigente comunista, gli studenti lavoratori, il medico, il notaio, il disoccupato. Tutte queste figure particolari dovevano costituire nell’idea del fotografo degli archetipi, degli idealtipi che rappresentassero più universalmente l’intera categoria.
Questa idea può fare già immaginare alcune critiche rivolte a Sander, ma riporto di seguito le parole di Grazioli per sintetizzarle meglio.
Presentati per lo più in posa in piedi al centro dell’inquadratura, in un atteggiamento tipico e con gli strumenti del proprio lavoro o gli oggetti del proprio contesto e ambiente […], i personaggi sono veramente al limite dell’inquietante. La perfetta riconoscibilità, al primo colpo d’occhio, di ogni “categoria” sociale e professionale non mette infatti soltanto in rilievo lo studio positivistico delle psicomorfologie, in cui uno sguardo indagatore e misuratore cerca i segni dell’influenza delle cause materiali su quelle della psiche, ma lo capovolge in un certo senso, in quanto sembra piuttosto rendere evidente come inevitabilmente – ridicolmente per certi versi, comunque in modo imbarazzante – l’uomo si adatti al “tipo” cui corrisponde. Tutti gli studenti, tutti i muratori, tutti i rivoluzionari, tutti i contadini si assomigliano e sono immediatamente identificabili: inquietante sensazione non solo di classificabilità, ma di inevitabile conformismo e mimetismo.
Elio Grazioli, Corpo e figura umana nella fotografia
Altre critiche riguardano poi il metodo usato da Sander che viene avvicinato alla catalogazione/schedatura perpetrata dal regime nazista. Critiche mosse nonostante il figlio di Sander fosse stato arrestato come nemico del regime e lasciato morire in carcere. Nonostante lo stesso lavoro di ritrattista fosse stato ostacolato e distrutto perché, probabilmente, non conforme all’idea di essere umano promossa dagli ideologi di regime.
Vengono poi fatte osservazioni anche su aspetti legati al genere e all’estrazione sociale.
Contestualizzazione
Ciò che non bisogna dimenticare è il tempo in cui Sander ha vissuto e in cui ha scattato certe fotografie. Io stesso, fin da subito, sono rimasto turbato dall’estetica dei ritratti proposti: se da una parte vediamo figure familiari dall’altra ci troviamo di fronte a soggetti che hanno qualcosa di estraneo e inquietante.
La scelta di una composizione sempre uguale, diretta, stretta, con i soggetti centrali di fronte all’obiettivo voleva essere, negli intenti del fotografo, un modo per restituire la massima oggettività possibile. A volte sfiora il rischio del didascalico ma la qualità delle immagini fa passare oltre.
Nella maggior parte dei casi la profondità di campo è molto ridotta, ottenuta anche grazie all’impiego di macchine di grande formato: il soggetto è isolato e ben nitido, rappresentato in situazioni e modi che hanno preso le distanze dal pittorialismo.
Insomma, l’epoca, la tecnica e la scelta del progetto fanno dell’opera di Sander qualcosa che non può passare inosservato e, come sempre avviene con i lavori particolari, sfuggente da inquadrare e definire.
Da un punto di vista estetico, le immagini sono invece sicuramente di alto livello. Sander era un ottimo fotografo, partito dalla gavetta che ha seguito un percorso di ricerca continua e ambiziosa. E proprio per questo è entrato nella storia.